Intervista per Solotablet.it

Un grazie a Carlo Mazzucchelli per avermi intervistato per Solotablet.it.

Ecco un estratto:

D: Buongiorno Ivo e grazie per avere concesso questa intervista a Solotablet. Il nome del dominio può ingannare ma nella realtà il portale offre da anni una riflessione sulla tecnologia e sui suoi effetti. Nell’introduzione del tuo libro Internet e l’io diviso anche tu sostieni l’importanza di passare da una semplice analisi di ciò che possiamo fare con la tecnologia a una riflessione attenta e critica sugli effetti che essa sta avendo su di noi. La riflessione non può essere banale e non può essere relegata alla contrapposizione tra tecnofobi e tecnofili. E’ una riflessione che sta portando però un numero crescente di studiosi a suggerire maggiore attenzione e sviluppo di pensiero critico soprattutto per il monopolio crescente di pochi produttori e l’uso che fanno di motori di ricerca, media sociali, cloud computing e Big Data, per la sostituzione strisciante ma continua di lavoratori umani con robot e macchine intelligenti, per l’imposizione di un modello economico nel quale pochi guadagnano e molti sono obbligati a offrire gratuitamente il loro lavoro e soprattutto per l’emergere di nuovi comportamenti diffusi che indicano una totale, e forse fatale,  fiducia nelle tecnologie e nei loro prodotti. Qual è la tua visione attuale e in quali direzioni andrebbe orientata oggi la riflessione sulla tecnologia?

R: Grazie Carlo per avermi dato l’opportunità di raccogliere alcune delle mie recenti riflessioni. Il dibattito sugli aspetti non prettamente tecnologici dalla rete si concentrano prevalentemente sulla privacy o sui temi comunicativi e sociali. Queste sono importanti aree di riflessione, ma ciò che spesso manca è l’attenzione verso gli aspetti psicologici, antropologici e direi anche spirituali, nel senso di evoluzione/involuzione della consapevolezza e delle qualità che ci rendono umani.

La tecnologia (forse) ci rende più informati e più comunicativi, ma ci rende anche più consapevoli, più creativi, più sensibili alla compassione? Ci rende più consapevoli di noi stessi? La consapevolezza di sé è elemento indispensabile per poter effettuare le scelte ed agire liberamente nel mondo. E’ quindi la tecnologia un ausilio o una barriera alla conoscenza di noi stessi? L’autoconoscenza richiede anche spazi di vuoto e di silenzio per consentire alla psiche di essere ascoltata. Il silenzio della mente è cosa rara ma senza riflessione e meditazione non possiamo uscire dal ciclo informativo infinito e dare spazio ai movimenti profondi della psiche.

La tecnologia sta provocando dei cambiamenti senza precedenti nel rapporto non solo con gli altri, ma anche in quello con noi stessi, portandoci ad essere sempre connessi. Questo è un fattore anti-meditativo che ci porta lontano da noi stessi e dal nostro corpo, luogo in cui si radica la presenza. Un team di psicologi l’anno scorso ha condotto un esperimento con centinaia di studenti, invitandoli a passare un periodo di alcuni minuti, da 6 a 15, in una stanza, soli con i propri pensieri (1).

La maggior parte degli studenti ebbero delle difficoltà. La cosa impressionante è che molti dei partecipanti trovarono l’esperienza talmente sgradevole da preferire lauto-amministrazione di una scossa elettrica che in precedenza avevano detto che avrebbero pagato per evitare.

Questo mi fa dire che nel momento in cui si ferma il flusso informativo, il disagio viene provocato da una parte dall’emergere del sommerso della psiche a cui non è stato dato spazio per lungo tempo, e dall’altra da una vera e propria crisi di astinenza. L’uso dei media con schermo provoca rilasci continui di dopamina in anticipazione dell’evento successiva, creando una condizione di dipendenza.

Poiché vi sono sempre meno interazioni faccia a faccia e sempre più messaggistica, i ragazzi stanno perdendo l’abilità di decodificare il linguaggio del corpo e le espressioni. Un esperimento ha rilevato che cinque giorni in un campeggio senza schermi migliora le abilità di comprensione dei segnali emotivi non verbali (2). Un gruppo di preadolescenti ha trascorso un tale periodo sabbatico senza accesso agli schermi.

Questi sono stati confrontati con un gruppo di controllo. Il gruppo senza schermi dopo tale esperienza ha notevolmente migliorato le capacità di intuire i messaggi emotivi non verbali. Questo studio conferma uno studio del 2012 di Clifford Nass che aveva rilevato che il multitasking danneggia lo sviluppo sociale/emozionale delle adolescenti, ma che l’interazione reale lo cura (3).

Anche in questo caso, la tecnologia ha sequestrato una tipica capacità umana, quella di intuire gli stati d’animo del prossimo. Dopodiché viene in soccorso offrendo un ulteriore prodotto. E’ stata sviluppata un’applicazione per Google Glass per analizzare le espressioni facciali e decodificare specifiche emozioni (4). Ufficialmente come supporto all’autismo, ma potenzialmente come un’altra stampella per la limitata consapevolezza nelle qualità essenziali dell’umano.

L’identificazione delle emozioni prende anche la strada dell’analisi dell’attività cerebrale. Tramite la risonanza magnetica e il machine learning è possibile valutare i segnali elettromagnetici del cervello in modo da distinguere le singole emozioni. Inoltre vi sono diverse aziende che identificano le emozioni tramite l’analisi dei segnali vocali.

Diverse tradizioni spirituali vedono nella pratica meditativa di osservazione consapevole dei pensieri e delle emozioni un ponte per l’evoluzione della consapevolezza stessa. Dal momento in cui questa attività viene esternalizzata nella tecnologia, ci priva di un canale per l’evoluzione.

Considero la ricerca della verità un bisogno fondamentale dell’essere. La ricerca del vero non è solamente un atto intellettuale, ma coinvolge il corpo nella sua interità. Decodificare le altrui emozioni, così come una serie di verità che apprendiamo quasi istintivamente, necessita di contatti autentici e intensi, che possono avvenire solo nei percorsi offline. Se mancano le basi primarie istintive nella discriminazione della verità, i politici hanno vita facile nella manipolazione del vero, come di fatto avviene. Ciò che più è preoccupante, l’amore per la verità stessa si indebolisce.

L’intervista completa a Solotablet.it

Per Enrico, un’eterna ghirlanda brillante

Oggi è scomparso Enrico Gasperini, uno dei pionieri della cultura digitale in Italia.

Sono passati quasi 35 anni da quando tu, Alberto e Davide vi esercitavate al centro di calcolo dell’Università dove, a mia volta studente, ero system manager degli Onix che miracolosamente facevano lavorare 8 postazioni con un processore che oggi farebbe ridere.

Ogni computer aveva un hard disk di soli 20 Mega e doveva contenere sia Unix che i dati di almeno 80 studenti. Quindi scrivevo delle procedure in shell che ai attivavano alla notte cancellando i files temporanei e comprimendo tutto il resto. Alla mattina ti toccava decomprimere i files e a volte qualcuno pure mancava.

Si scherzava e ogni tanto facevamo qualche gabola per darvi più tempo al computer, e siamo diventati velocemente amici come lo ero con altri studenti. Ma il punto di svolta che ha portato ad un’amicizia più profonda è stato quando mi hai mostrato una copia in lingua di Gödel, Escher, Bach di Douglas Hofstadter, che non era ancora stato tradotto in Italiano, poi tradotto come Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante. Fu una rivelazione, lo ordinai subito tramite una libreria universitaria e poi passammo un periodo a parlare di filosofia, di mente e di intelligenza artificiale in università o di fronte a una birra.

Mi ricordo quando mi parlavi della tua esperienza con il servizio civile. Mi raccontavi di quanto duro e umiliante fosse stato quel lavoro e di quanto allo stesso tempo ti aveva formato interiormente in termini di pazienza e perseveranza. Ti dissi che l’archetipo di Saturno si rafforza con le avversità. Nei tuoi progetti avevi una perseveranza e una chiarezze di intenzioni non comuni. E una calma per me invidiabile. Mi piace anche ricordare il periodo di lavoro con Riccardo, dove combinavamo lavoro, passioni personali e amicizia.

Da parecchi anni le nostre strade si sono divise. Ogni tanto avevo tue notizie da conoscenti comuni, come forse tu avevi le mie. Ti ho pensato diverse volte in questi anni, e mi chiedevo cosa porta le persone sui loro percorsi. Mi sarebbe piaciuto parlare ancora con te di filosofia e di intelligenza artificiale, Enrico. La tua capacità di riflessione stimolava anche la mia. Sono certo che hai acceso la mente di molte persone nel tuo intenso percorso di vita.

Derrick De Kerckhove and Maria Pia Rossignaud on the digital persona

Derrick De Kerckhove and Maria Pia Rossignaud added a valuable contribution to the subject of identity and technology in their article “The digital persona” in Papers of Dialogue n.2-2013. I am also grateful for their quotes from The Digitally Divided Self 

Derrick De Kerckhove e Maria Pia Rossignaud hanno aggiunto un importante contributo al tema dell’identità mediata dalla tecnologia nel loro articolo “The digital persona” in Papers of Dialogue n.2-2013. Ringrazio inoltre per le citazioni tratte da The Digitally Divided Self.

Internet e l’Io diviso. La consapevolezza di sé nel mondo digitale

Internet e l'Io divisoInternet e l’Io diviso. La consapevolezza di sé nel mondo digitale è disponibile in libreria. Di nuovo, un grazie a Stefano Mauri, Michele Luzzatto, Bernardo Parrella e ai collaboratori di Bollati-Boringhieri che hanno reso possibile l’edizione Italiana.

Introduzione

Come accade a molti al giorno d’oggi, sia la mia vita personale che quella professionale sono permeate di tecnologia. Ho pubblicato da editore il primo libro su Internet in Italia. Gestisco un due blog e una rivista web, curo i miei investimenti e faccio shopping online; uso Skype e la posta elettronica per le interviste, e mi sono persino concesso diverse sedute di sesso virtuale. Ora mi trovo in Asia impegnato nella stesura di questo libro, zeppo di riferimenti ad articoli web, blog e materiale reperibile solo su Internet, con l’auto di vari collaboratori online: un redattore e curatore in California, un revisore in India, un designer in Italia, un servizio stampa e distribuzione in diverse città statunitensi. La mia vita è immersa nell’oceano digitale.

Seguo da vicino il mondo dell’information technology da quando ero studente. Mentre imparavo a meditare e a esplorare i percorsi di conoscenza spirituale, sono poi entrato in contatto con la realtà interiore e ho scoperto un’altra dimensione oltre a quella della mente. Così oggi mi trovo a passare continuamente dall’elaborazione della consapevolezza a quella dell’informazione. Se all’inizio il mio interesse riguardava ciò che possiamo fare con la tecnologia, ora mi premono gli effetti della tecnologia su di noi. E da esploratore di prima mano, ho avuto modo di osservare da vicino le sottili conseguenze del nostro uso pervasivo della Rete.

Proprio come un ricercatore spirituale riesce a trascendere i confini della mente solo dopo averla osservata e compresa a fondo, per andare al di là delle trappole del mondo digitale bisogna prima conoscerlo, usarlo attivamente e comprenderne appieno gli effetti. Poiché oggi la tecnologia digitale è pervasiva, dobbiamo imparare a padroneggiarla senza perderci al suo interno, adoperandone gli strumenti in piena consapevolezza.

In questo periodo storico, la nostra mente è bombardata da stimoli, perciò diventa indispensabile trovare un equilibrio. La cultura contemporanea non riconosce nulla al di là della mente, mentre in altre tradizioni il mondo mentale è solo uno degli aspetti della nostra interezza. In occidente la priorità spetta a una sorta di «pensiero puro» cartesiano. Pur essendo indubbiamente l’organo cognitivo più riconosciuto come tale, la mente non è certo l’unico. Sono stati individuati dei sistemi nervosi sia nel cuore che nell’addome, mentre la consapevolezza globale raggiunta da chi si dedica alla ricerca spirituale è pervasiva e non localizzata. Tuttavia, queste facoltà percettive, non prestandosi a una rappresentazione digitale, vengono spesso relegate ai margini.

La nostra società tecnologica sembra opporsi all’attenzione cosciente continuata. Diversi studiosi hanno documentato gli effetti dell’information technology sulla concentrazione, sull’apprendimento e sulle capacità intellettuali. L’information technology interferisce anche con gli spazi di silenzio indispensabili per osservare le nostre trasformazioni interiori. La tecnologia ha indebolito la nostra capacità di auto-comprensione, trasformandoci, a nostra insaputa, in veri servomeccanismi. La tendenza a ridurre la gamma delle qualità umane per privilegiare solo quelle che si prestano a rappresentazioni e utilizzi in modalità digitale affonda le sue origini nella natura propria della mente-ego – in particolare nella storia occidentale, che ha generato, e poi avvalorato, le rappresentazioni mentali della realtà. Il mio intento qui è comprendere come mai la mente si lasci ammaliare da questi strumenti, fino al punto di dimenticare la persona che li usa.

Siamo convinti che l’uso dei social network e dei blog conferisca potere personale e politico. Ma in realtà, i nostri «contenuti generati dagli utenti» nutrono la macchina e divengono ghiotto materiale per qualche pubblicitario senza scrupoli che poi sfrutterà al meglio quel che andiamo dicendo su Twitter, Facebook e finanche nelle nostre email.

È necessario un passaggio dall’informazione alla comprensione del Sé se vogliamo riconquistare la libertà autentica, affrancandoci dai condizionamenti della mente e dalla manipolazione dell’informazione, indipendentemente dal fatto che sia stata generata da noi stessi o da fonti esterne. Confondiamo la libertà con la trasmissione di gigabyte di dati.

Sembra che la nostra società, così tecnologicamente sofisticata, sia poco disposta ad accettare le dimensione interiore, spirituale e metafisica della vita. In altre parole, non vale la pena esplorare quanto non può essere quantificato – che di conseguenza risulta «non oggettivo». Ancora più fortemente negata appare l’ipotesi di un possibile impatto della tecnologia sulla psiche. I tecnofili sostengono che questa sia solo uno strumento, come se la psiche possa rimanere immune dalla continua interazione con i media digitali, e come se fosse possibile tenerne sotto controllo l’impatto. Certo, siamo in grado di controllarne gli effetti, ma solo dopo aver approfondito proprio quelle modalità cognitive che i media digitali non sono in grado di raggiungere.

Per essere immuni ai media digitali occorre una consapevolezza vicina a quella del Buddha, basata su attenzione costante, presenza mentale e introspezione. Ma proprio queste doti, le vere armi contro l’automatismo mentale, diventano difficili da sviluppare se accettiamo di essere bombardati da informazioni – per lo più effimere e vuote, nonché prive di contesto narrativo. Solo la consapevolezza può dare significato e profondità ai contenuti, ma per amplificarla dobbiamo svuotare la mente. Prendiamo la storia del professore universitario che si recò da un maestro Zen per apprenderne i princìpi. Durante il loro incontro, venne servito del tè. Impugnata la teiera, il maestro continuò a versare, anche quando la tazza era ormai colma. La mente del professore, proprio come la tazza straripante di tè, era zeppa di concetti e convinzioni: andava prima svuotata per comprendere lo Zen. Lo stesso vale per il mondo digitale.

Ovunque nel mondo, quando usiamo Internet facciamo click sulle stesse icone, usiamo le solite abbreviazioni per email e chat, adoperiamo identiche modalità su Facebook. Una vera e propria globalizzazione delle menti. A prescindere dai contenuti, nel processo di digitalizzazione della realtà utilizziamo gli stessi canali mentali limitati, e interagiamo con strumenti identici. Affrontiamo il lavoro, la vita sentimentale, lo shopping, le amicizie, l’attrazione sessuale e la ricerca scientifica con atteggiamenti, gesti e meccanismi analoghi. Un’uniformità che svilisce gran parte di queste attività. Tutto viene percepito come un sistema informativo – dalla digitalizzazione del territorio (Google Earth e software di realtà aumentata) alla biologia umana.

Nella cultura giudaico-cristiana l’essere umano è padrone di natura e materia. Può manipolarle a piacimento, alla ricerca del Buono, nella speranza di riconquistare la perfezione del Paradiso perduto. Questa cultura, che considera i miracoli come una prova dell’esistenza di Dio, ha creato delle tecnologie che hanno qualcosa di prodigioso e di divino. Ci sentiamo obbligati ad accogliere ogni nuovo strumento tecnologico come un segno di pace, progresso, prosperità e comprensione reciproca.

Basti pensare a telegrafo, telefono, radio, TV e agli altri media, salutati come manifestazioni di democrazia, pace mondiale, tolleranza e libertà d’espressione. E Internet non è che l’ultimo di questi promettenti messia. Eppure non possiamo certo dire di aver conquistato una maggiore democrazia, anzi: i mezzi di comunicazione di massa e le grandi aziende sono diventati finanche più potenti, mentre la contempo la libertà di espressione si è arresa al controllo delle grandi corporation e delle agenzie governative. Al pari della TV, Internet regalerà intrattenimento a un pubblico che, isolato nelle proprie case, sarà incapace di mettere in dubbio il sistema. In una società in pieno degrado economico e ambientale, Internet potrebbe già essersi imposta come il nuovo Soma, l’oppio di ultima generazione. Tuttavia, visti gli enormi interessi economici in ballo, criticarne gli effetti sembra quasi una bestemmia.

Questi prodigi tecnologici sembrano offrire una risposta a bisogni psicologici e persino spirituali, come il desiderio di conoscenza (basti pensare ai motori di ricerca) o di comunicare con nostri simili (tramite i social network e i siti di incontri romantici). La tecnologia digitale si è già impadronita della ricerca della verità e dell’amore, due dei motori più potenti dell’essere umano. Ma una volta trasferiti questi bisogni primordiali solo a livello mentale, tramite l’informazione, l’anima rimane vuota, assetata di valori autentici; la mente diventa irrequieta, tormentata da una costante e inappagabile sete di informazione.

Il bisogno di amplificare le nostre facoltà con la tecnologia viene dalla consapevolezza di dover recuperare il senso di pace, di appagamento e di intensa percezione della realtà, smarriti lungo il cammino dello sviluppo psichico. Le tecnologie dell’informazione soddisfano inoltre la nostra atavica sete di potere e di controllo.

La mente-ego è costantemente impegnata dal flusso ininterrotto di contenuti, e monopolizza tutta la nostra attenzione. E l’information technology è indubbiamente il «pusher» mentale più potente mai esistito, in grado di alimentare la dualità della mente-ego (che trova un corrispettivo simbolico nella tecnologia binaria). A differenza della televisione, dove l’intrattenimento è contenuto tra l’inizio e la fine di un programma, Internet, video game e smartphone non hanno né pause né limiti strutturali, e ci fanno perdere la nozione del tempo e del reale, travolgendoci con un fiume di informazioni in ?tempo reale”.

Rimaniamo stregati dal computer mentre questo riflette in Rete la nostra mente. Proprio come Narciso, ci lasciamo ammaliare dall’immagine riflessa, e cadiamo vittime di un circuito chiuso. Fin dai suoi albori, Internet è stata considerata una tecnologia in grado di spazzar via interi governi e organizzazioni: forse la proiezione esteriore di quanto potrebbe accaderci interiormente, la mancata integrazione della nostra psiche.

Una realtà che ci siamo costruiti da soli e una mente che ci porta fuori strada: è qui che la meditazione ci viene in soccorso. Ci riporta verso la realtà e la verità, sul sentiero della conoscenza e del controllo della mente – distogliendoci dal desiderio di dominare il computer come esternalizzazione delle nostre doti mentali. La meditazione amplifica le nostra consapevolezza e ci integra nell’altra «Rete» globale, quella fatta di consapevolezza che permea ogni cosa.

Sono favorevole a qualsiasi medium capace di espandere le capacità espressive, ma l’auto-espressione si materializza soltanto in presenza di un Sé autentico, che difficilmente può essere formato relazionandosi con uno schermo.

Sono riconoscente ai miei maestri spirituali, che hanno ampliato gli orizzonti dell’anima nel mio viaggio verso la consapevolezza – soprattutto l’intensità di Osho e la brillante chiarezza di A. H. Almaas Ringrazio infine i miei amici (troppi per elencarli tutti) per le innumerevoli conversazioni tese a integrare cuore e intelletto nel condividere la passione per la verità.

Indice

Capitolo 1. Dalla consapevolezza della tecnologia alla tecnologia della consapevolezza

I limiti della tecnologia, 18
Ciò che non è computabile non è reale, 21
Le promesse della prima Internet, 23
Dall’elaborazione dell’informazione all’elaborazione della consapevolezza, 24
Passare tutto al tritacarne digitale, 25
La tecnologia non si discute, 26
La tecnologia ci usa, 29
Nutrire l’anima con i byte, 30
La mente immortale, 31
Amputazioni e protesi interiori tramite la tecnologia, 32
La fragilità delle convinzioni e l’information technology, 33

Capitolo 2. «È solo uno strumento»

La tecnologia è inoppugnabile, 37
Conoscere tramite il corpo, 38
La tecnologia «ci fa», 39
La tecnologia è una questione di vita o di morte, 40
Dualità binaria e dualità interiore, 41
Conoscere con il cuore, 42
L’identità con gli strumenti: dalle scimmie al chip, 45
Riconnettersi con il flusso interiore, 46
Da spettatore a testimone, 48
Buchi interiori e riempiture tecnologiche, 49
Pensiero puro senza il corpo, 52
Strumenti per la crescita interiore, 53
La mente è un medium in quanto tale, 56
L’information technology indebolisce la nostra presenza, 59

Capitolo 3. Le radici dell’information technology
Costretti a produrre, 62
L’information technology è radicata nella Bibbia, 63
La tecnologia come ritorno alla perfezione perduta, 65
Messaggi contraddittori mandano in corto circuito la psiche, 67
Figli di un Dio minore, 68
La tecnologia come salvezza finale, 69
La natura della mente, 70
Le macerie concettuali portano alla tecnologia come collante psichico, 72
La ricerca dell’immortalità, 73
Copiare, migliorare e creare nuove menti, 75

Capitolo 4. Intimità e sessualità
L’eros e la sessualizzazione della società, 79
Il cybersesso, 81
La trasformazione della seduzione e delle relazioni interpersonali, 81
Masturbazione e “sex toys”, 82
Orgasmo 2.0, 85
Le cybervergini, 87
Questioni di genere e virilità in pericolo, 90
L’esposizione prematura alla pornografia, 91
Cybersesso come esperienza tantrica, 92

Capitolo 5. Beni di consumo e commercializzazione
Sostituire il reale, 96
iMarket, 97
Il mondo nuovo, 99

Capitolo 6. Politica, partecipazione e controllo
I manovratori della nostra psiche, 103
Governi e controllo, 104
Pubblicità e attenzione, 106
La questione della privacy, 106
WikiLeaks, 111
Invadere la nostra identità digitale, 111
L’attivismo da salotto, 114
Il geek e lo yogi, 116

Capitolo 7. Tutti insieme: l’ascesa dei social network
Rinunciare al mondo, 118
Il bisogno interiore di contatti umani e Facebook, 120
Fare esperienze per mostrarle agli altri, 121
L’empatia, 122
Contatto illusorio, 125

Capitolo 8. Ragazzi digitali
Lo sviluppo del Corpo/Mente durante l’infanzia, 126
L’infanzia negata, 128
Computer e istruzione, 129
L’assenza di mentori, 130
Bambini e computer, 131
Bambini insonni, 134

Capitolo 9. Alfabetizzazione e mente analitica
Capacità analitiche e critiche, 139
Una nuova alfabetizzazione tramite gli e-book?, 141
La «tecnologia» della lettura, 143
La scrittura digitale, 144
La comunicazione e la trasformazione della coscienza, 146

Capitolo 10. Persi nella corrente
Dammi attenzione!, 149
Il fascino delle novità e della diretta infinita, 151
La gratificazione immediata, 152
Mutamenti neurologici e gratificazione istantanea, 154
L’accettazione del vuoto e l’effetto eureka, 155
Rimanere nel giro, 157
Cogitus interruptus a causa del multitasking, 159
L’assenza di storia, narrazione e passato, 162
La dipendenza, 164

Capitolo 11. L’Io digitale diviso
L’attenzione, 171
La costruzione del Sé, 172
Sviluppo tecnologico come metafora di quello psicologico, 177
L’attaccamento alla macchina, 180
L’esigenza di rispecchiarsi negli altri, 181
Il castello di sabbia si smonta: verso una personalità schizoide, 182
L’altro come immagine e il tribalismo globale, 186
La mente stessa è un medium, 189
La fine dell’identità, 191

Capitolo 12. Il processo della conoscenza
Il regno dell’oggettività, 195
Unificare la conoscenza esterna con quella interiore, 198
Lo stato di non conoscenza, 202
Possiamo conoscere con il cervello?, 206

Capitolo 13. Dalla tecnologia al paradiso in terra
La creazione della coscienza, 210
Tecnologia a supporto dell’ego, 213
La tecnologia ci fa dimenticare chi siamo, 216
Sparire nella tecnologia, 219
Poteri spirituali tramite la tecnologia, 220
Siamo forse delle macchine?, 221
La volontà di creare mondi mentali, 224

Capitolo 14. Mordere il serpente
Uscire dal giro, 228
Schermi e meditazione a confronto, 230
La meditazione, 234
L’information technology si contrappone alla meditazione, 236
La tecnologia diventa un ulteriore velo di Maya, 238
Bibliografia

Upgrading to Heaven

Through technological achievements we try to compensate for our inner deficiencies. Unconsciously we even attempt to emulate advanced psychological and spiritual levels of human development, levels which can’t be reached by the conceptual mind. Technology is the contemporary method for the will to infinity. Quoting Alan Watts:

The sense of isolation and loneliness of the ego is one of deep insecurity, manifesting itself in a hunger to possess the infinite. . . . This will take the form of trying to make the finite infinite through technology, by abolishing the limitations of space, time and pain. In terms of philosophy it involves giving the human ego the value of God. . . . By the exercise of his brilliant reason he will abolish the painful finitude of being an ego. He will forget his loneliness in crowded urban life, in an orgy of superfluous communication and social agitation (Watts, Alan, The Supreme Identity, New York: Pantheon Books, 1950. pp. 101–3).

And in the ’50s the amount of superfluous communication was just beginning! We want to render the finite infinite because we believe we are separate from the infinite and from the divine. We’ve been told that human beings can’t reach the divine, at least in their earthly lifetime. Technology, then, promises redemption from limitation, imperfection and the original sin, fixing what has gone “wrong.”

Ken Wilber (1980) wrote:

Every individual correctly intuits that he is of one nature with Atman, but he distorts that intuition by applying it to his separate self. He feels his separate self is immortal, all-embracing, central to the cosmos, all-significant. That is, he substitutes his ego for Atman. Then, instead of finding actual and timeless wholeness, he merely substitutes the wish to live forever; instead of being one with the cosmos, he substitutes the desire to possess the cosmos; instead of being one with God, he tries himself to play God (Wilber, Ken, The Atman Project, Wheaton, IL: Theosophical Publishing, 1980. p. 120).

And Aurobindo: “Every finite being strives to express an infinite which is perceived as being its real truth” (Satprem, 1974). Through technological advancement we try to grasp the infinite with the mind, then download the mind’s contents to the Net. Technology simulates the drive toward the spiritual plane, stepping beyond identification with the body – but prematurely, and in a withdrawn, schizoid way. It achieves the opposite result, however, of inhibiting the soul’s evolution. We cannot go beyond the body by bypassing full engagement with our body.

The body, being body-mind, holds our mental conditioning as much as the mind does. There is nothing like pure mind. Every belief, emotion, and conditioning is as much in the body as in the mind. Freedom from the identification with and limitations of body and mind begins with becoming aware of and inquiring into both.

excerpt from Chapter 13 of “The Digitally Divided Self : Relinquishing our Awareness to the Internet

Attention is the Foundation of Awareness

In any single moment of awareness, which may be as brief as one millisecond, attention is focused in only one sense field. But during the course of these momentary pulses of consciousness, attention jumps rapidly from one sense field to another, like a chimpanzee on amphetamines. In the blur of these shifts among the sense fields, the mind “makes sense” of the world by superimposing familiar conceptual grids on our perceptions. In this way our experience of the world is structured and appears familiar to us (Wallace, 2006, p. 37).

The mind compensates for the gaps in continuity by mechanically recalling our previous experience and conditioning. Spiritual teachers speak of this in various phrases: that we create reality; we are asleep; we do not see things as they are in their essence. The more the inputs we receive without attention from our part, the more the structures of our mind are unconsciously activated to make sense of the world.

Attention is one of the foundations of awareness. Without it, we have no protection against information which is poured into us. Without attention our real identities and human values have no role in transforming information into wisdom. Then without choice we ingest whatever is put in front of us.

Without attention we risk becoming servomechanisms of technology, clicking compulsively with no direction. An open mind without goals is very different from the lack of direction of a mind frenzied with the longing to be filled. Lacking attention we have no control over our intentions nor critical perspective for interpreting information.

Attention is an ingredient of mindfulness – the awareness of our inner state which includes our body, feelings, and sensations. Meditation techniques begin with focused attention and concentration.

With attention, awareness, mindfulness, “presence” and a quiet mind, we are nourished by our interiority instead of force fed by external stimuli. As attention is connected to our identity, weak attention produces a weak identity. A scientist of the Rational Psychology Association, studying changes in the brain from over-stimulation, defined “the new indifference” as the capacity to cope with contradictory stimuli without being concerned (Talbott, 1997).

If we add to this the pervasive difficulties with prolonged attention, the lack of inner awareness, the weakening of literacy, and the absence of strong ethical and ideological ground, we are easily manipulated by messages which simplify the world. We are then prey to fundamentalisms and populisms with their promise of rapid solutions and return to the “certainties” of the past. Without attention nothing makes sense and there’s no motivation to delve deeper.

“It is worth noting that Ted Nelson, the maverick who first coined the term ‘hypertext’ to describe our ability to navigate our own path through electronic information in 1965, has suffered since childhood from what later became known as ADD” (Harkin, 2009, p. 135). Attention disorders are expanding parallel to the expansion of information, leaving us vulnerable to unbalanced external guidance. Short attention span and lack of inner guidance work together to create a weak identity.

excerpt from Chapter 12 of “The Digitally Divided Self : Relinquishing our Awareness to the Internet

L’edizione Italiana di “The Digitally Divided Self” verrà pubblicata ad Aprile 2013 da Bollati-Boringhieri.

Lost in the Current

excerpt from Chapter 11 of “The Digitally Divided Self : Relinquishing our Awareness to the Internet

Human beings evolved with a terror of predators, so that visual or audio signals are associated with something potentially dangerous. When threatened, the instinctual brain mechanisms, located especially in the amygdala, become activated.

First described by Ivan Pavlov in 1927, the “orienting response” is our instinctive reaction to any sudden or novel stimulus, visual or auditory. This ancient survival mechanism is one of the reasons why it’s difficult to sit in front of a TV and ignore the moving images. Each time we attend to a new stimulus, the mechanism of reward is activated. On the neurophysiological level, dopamine is released, leading to a sense of well-being and euphoria – thus reinforcing our reaction and improving our chances of staying alive. Though we rarely encounter predators any more, the mechanisms remain in the brain. Whatever facilitates survival of the species is gratifying – like the pleasure of sexual engagement.

Attend to This!

The events on the Net which anticipate and activate the reward system are numerous: new email announcements, instant messages, Twitter or Facebook updates, new articles in blogs, video games, news. The amygdala is stimulated by all the media. And the Internet has multiplied the stimuli by concentrating the textual, visual, auditory, and interactive channels in a single medium.

The inner reward system makes us attend to information. By interacting with it we produce new information ourself. The reward system is activated even when we anticipate a reward. So a simple sound that signals an incoming email or IM text releases dopamine – even when a spam message is delivered.

A research presented to the British Psychological Society’s Division of Occupational Psychology Conference in January 2012 found that some people are so obsessed about checking their email and social networks that they experience “phantom” vibrations of their phones when no message had actually been received.

Any action that activates the reward mechanism also activates another mechanism: that of addiction. Even if they are not badly addicted, many people – myself included – experience difficulty stopping online activity. Stimuli which previously evoked a certain neural response, over time produce less effect. So, it’s necessary to have more stimuli that are more intense, more varied, and more frequently.

To achieve this, we need more computing power and faster Internet to manage the increasing number of events running simultaneously on the screen. Technological development is pushed by the greed for “more” and “faster.” The brain, particularly the amygdala and the hippocampus, mistakes the continuous stimuli with survival, so it becomes difficult to turn away from the source of stimulation.

While it’s difficult to ignore a nearby TV, the computer is even more powerful and complex, because it adds the frenzied activity of chasing and producing information to the passive staring at a screen. Besides the neurological triggering of the survival mechanism, much web content actually relates to survival – being sexual or financial, including online gambling, auctions and stock investing – which activates the dopamine shots.

Seeking social stimulation is not traditionally considered compulsive or addictive, but as technology co-opts social life as one more window present on the screen, it is possible to become a Facebook addict because of the dopamine reaction.

Fundamentally, both TV and computer screens are about moving images. Seeing something new moving activates the orienting response. While TV editors increase the number of cuts and effects in order to hold attention, the Internet generates an even larger number of interruptions as we open multiple windows, run several programs simultaneously, and communicate by instant messaging.

Since it would be nonsense to react physically to an image on a screen as if a beast were threatening us, like we did in ancient times when a potentially threatening change took place in our surrounding, we have learned to suppress emotions and inhibit our reactions. But they aren’t really gone, building up as tension in the nervous system. In bioenergetic terms, there’s a charge but no discharge. In other words, stress and frustration build, even though it’s often not perceived consciously.

L’edizione Italiana di “The Digitally Divided Self” verrà pubblicata ad Aprile 2013 da Bollati-Boringhieri.

Technology is Natural for the Mind

La tecnologia è naturale per la mente

Some may be surprised to read such a statement. Technology is natural in the sense that it amplifies the natural tendency of the mind to be continuously stimulated by external events. Introspection, meditation, and the silence of the mind are the most unnatural experiences for the ego-mind.

The “natural” evolution of the psyche creates, at best, a healthy and strong ego. Going beyond this stage requires a lot of “unnatural” work, mostly by developing an observing attitude called meditation. The tools of technology are more congenial for our minds than meditation. Through technology, we can even write about meditation in our blogs (as I also do, and yes I am aware of the paradox) and on social networks (which I avoid). By feeding the mind through every means we never risk abandoning our cherished identification with the mind’s contents.

Disengaging from the chatter of our minds is one of the most unnatural activities that humans can do. Information technology feeds our mind with information, a product that the mind loves to crunch on, and also with ideas, concepts, emotions, and beliefs, keeping the ego-mind at the center of the show.

Technology is natural for the ego-mind, the level with which humanity currently identifies. The digital-binary technology reflects perfectly the duality of the mind, where the either-or modality is reflected even in the inner functioning of computers.

The information society, as the peak of an historical process, will probably last for a shorter amount of time than the industrial one. If we follow the esoteric system of the seven bodies, the next step after the mental plane would be the awareness one, in which the mind is observed, known, and explored from the inside.

The semantic web, sometimes called Web 3.0, is the first step toward meta-information, toward a self-awareness of information that simulates, though limited on the mental plane, the observing attitude of inner exploration.

Alcuni potrebbero sorprendersi di una tale affermazione. La tecnologia è naturale nel senso che amplifica la tendenza naturale della mente di essere stimolata in continuazione da eventi esterni. L’introspezione, la meditazione e il silenzio della mente sono tra le esperienze più innaturali per la mente-ego.

L’evoluzione “naturale” della psiche crea, al più, un ego solido e sano. Portarsi oltre questo stato dell’essere richiede parecchio lavoro che non è propriamente “naturale”, soprattutto nella direzione di un’attitudine verso l’osservazione chiamata meditazione. Gli strumenti tecnologici sono più congeniali per la mente rispetto alla meditazione. Attraverso la tecnologia possiamo anche scrivere di meditazione nei nostri blog (cosa che faccio e di cui sono consapevole della contraddizione) e sui social networks (che evito). Alimentando la mente in diversi modi non rischiamo mai di abbandonare la nostra identificazione con i contenuti della stessa.

Staccarsi dal chiacchierio della mente è una delle attività più innaturali per un essere umano. L’information technology alimenta le menti con informazioni, un prodotto che la mente ama sgranocchiare, e con idee, concetti, emozioni e convinzioni, mantenendo così la mente-ego al centro dell’attenzione.

La tecnologia è naturale per la mente-ego, il livello in cui l’umanità si identifica in questa fase storica. La tecnologia digitale-binaria riflette perfettamente la dualità della mente, dove la modalità o-uno-o-l’altro viene riflessa anche nel funzionamento interno dei computer.

La società dell’informazione, arrivata al cumine di un lento processo storico, probabilmente durerà un lasso di tempo inferiore all’era industriale. Se dovessimo seguire il sistema esoterico dei sette corpi, il passo successivo al piano mentale è quello della consapevolezza, dove la mente viene osservata, conosciuta ed esplorata dall’interno.

Il web semantico, talvolta chiamato Web 3.0, è il primo passo verso la meta-informazione, verso un’auto-conoscenza dell’informazione che simula, seppur limitatamente al piano mentale, l’attitudine verso l’osservazione tipica dell’esplorazione interiore.

Online Commoditizing and Monetizing

excerpt from Chapter 6 of “The Digitally Divided Self : Relinquishing our Awareness to the Internet

“All that once was directly lived has become representation. . . . The real consumer has become a consumer of illusions” (Guy Debord, 1967).

The Situationists, an international revolutionary group of the ’50s critical of capitalist culture, spoke of “The Society of the Spectacle” which alienates people through a mediated and commoditized social environment. Media and products, in the Situationists’ view, dull the audience and control desire. Half a century later, we have newly created media with greatly expanded scope – which reinforce the Situationists’ principles. In the new digital millennium it seems that desires are not controlled, yet they are acceptable as long as they are associated with a market product, channeled through and stimulated by the media.

The Situationists perceived that in capitalism, emotions become transmuted into market products – and we have to pay up to redeem our emotions. The market, as they saw it, first takes away our real needs for connection and authenticity, then offers a pale reflection of the real – making us always thirsty for a real which will never come. The need for connection today is expressed through social networks which appear free and democratic. Yes, many Internet services are free of charge, but if we calculate hardware, software, the Internet connection – plus our time and attention – the cost must be reconsidered.

The market product now is us. We are being sold as targets to advertisers, according to the contents we view and produce on the Net. Moreover, the Situationists observed that people in our society are programmed to live a life that is merely a representation of a real life. Through technology, needs have been created in order to sell solutions. And the hi-tech market doesn’t even require much in the way of commodities any more, since it is represented digitally – making blatant Debord’s words about becoming consumers of illusions.

Replacing the Real

Once we have surrendered our senses and nervous systems to the private manipulation of those who would try to benefit from taking a lease on our eyes and ears and nerves, we don’t really have any rights left (McLuhan, 1964, p. 68).

Even babies now are deprived of bodily contact – for various reasons. Parents have little time and, even when they are with their kids, their hands and eyes are on their gadgets. There are no longer large or extended families. Adults are sometimes scared to cuddle kids for fear of accusations of pedophilia. Yet body touch is important for a balanced emotional and neurological life.

Oxytocin is a hormone and neurotransmitter. Apart from its well-known role in facilitating childbirth, recent research points to its absence in autism, personality disorders, depression, social phobias, psychosis and sexual disorders. Oxytocin is released during bodily contact, stimulating a sense of bonding, well-being and social participation. Some doctors promote the start of oxytocin treatment early in a child’s life to improve her social skills. This paints the picture of our situation: first, the real (contact) is taken away, then to reclaim the emotions (bonding) a substitute is offered (drug) – in the form of market products.

The need for human connection now feeds a huge industry of mobile phones and social networks. Once the Net becomes indispensable, we buy whatever is required to keep our connection active. The idea of falling out of the flow is too scary. But then we can buy apps for our iPhone or iPad which provide the same data easily available on the Net. Since we can’t sever the umbilical cord, we gladly pay for the nourishment it provides.

Brave New World

In Brave New World, every discomfort of old age was abolished. The character remained the same as a 17-year-old. People never stopped to reflect, always busy at pleasure and at work. Whenever a phase of reflection would emerge, the perfect drug – soma – was available in appropriate doses (Huxley, 1932). Eighty years after Huxley’s novel, we witness life extension therapies, antidepressants to feed desire, Viagra to renew sexual vigor, commoditized entertainment in every moment of our lives. All of these militate against the growth of the soul.
In the preface of Amusing Ourselves to Death, Postman (1985) wrote that, “In 1984, Huxley added, people are controlled by inflicting pain. In Brave New World, they are controlled by inflicting pleasure. In short, Orwell feared that what we hate will ruin us. Huxley feared that what we love will ruin us”.

The move of marketing into the digital realm creates an infinite marketplace where needs are replaced by desires. Desires, fed by the mind rather than by finite biological needs like food and shelter, are endless. The digital world, qualitatively closer to the mind and its incessant cravings, is profoundly non-sustainable. The Internet, as it replaces TV, is ripe for social control of a class of the population that might start to question the whole system. It promises to be the new soma for a society experiencing economic and environmental decay.

The Digitally Divided Self : Relinquishing our Awareness to the Internet  e’ in traduzione per Bollati-Boringhieri. L’edizione Italiana e’ prevista in libreria per Aprile 2013.

When the iPhone replaces the syringe: communication as a form of pathology

Quando l’iPhone sostituisce la siringa: la comunicazione come forma di patologia

Sorry this is a guest post only in Italian.

Laura (ma il nome è di fantasia) è una mia amica. Ha una laurea, ha militato in politica quando era più giovane, ha una casa piena di libri che in buona parte ha letto, aveva un marito che ha lasciato per un altro uomo quando ha cominciato a sentirsi vecchia e ora, non so, forse ha degli amanti. Insomma Laura ha avuto e ancora ha una vita intensa.

Ma qualcosa non torna. Ogni mattina scrive “buongiorno” e ogni sera “buonanotte” su Twitter e di rimbalzo anche su Facebook, e durante il giorno commenta in tempo reale con pensieri irrilevanti le sue attività. Cercare il link giusto da postare sulla sua bacheca online sembra essere diventato per lei tanto importante quanto prendersi cura della propria igiene personale.

È caduta anche nella trappola dei talkshow, specie quelli furbi pensati apposta per gli utenti come lei (che mai guarderebbero “L’Isola dei Famosi” ma che non si perdono una puntata di “Che tempo che fa”…), e mentre guarda la televisione commenta in tempo reale sui social network quello che il conduttore e l’ospite dicono, come se il suo cervello fosse collegato a internet a sua insaputa o come se la sua opinione fosse richiesta da una platea che la segue con attenzione… ma dall’altra parte del suo iPhone non c’è nessuno o, per meglio dire, ci sono milioni di altri naufraghi che, come lei, gridano aiuto alla deriva nel vuoto cosmico della modernità.

Carla è un’altra amica. Ricordo come compativa Berlusconi quando, ai tempi, trapelò la notizia che faceva sparire da tutte le agenzie fotografiche d’Italia le foto che lo ritraevano in pose sbilenche o con smorfie buffe… “che uomo ridicolo e patetico”, diceva. Oggi anche Carla è su Facebook. Ha postato oltre 100 foto che la ritraggono in tutte le situazioni (dal bichini al tailleur), e si capisce lontano un miglio che sono foto scelte per trasmettere di lei l’immagine più fresca e appetibile possibile, sebbene sia una donna di mezza età e abbia una famiglia.

Primi piani studiati allo specchio, pose che simulano spontaneità ma che sono invece calcolate per mostrare ad arte le forme del suo corpo, sguardi intensi che vogliono comunicare dal monitor dio solo sa cosa, scatti che si capisce benissimo sono stati accuratamente selezionati fra migliaia di altri per trasmettere una falsa immagine di sé… proprio come Berlusconi, che tanto la faceva indignare… ai tempi…

Laura e Carla non sono una eccezione. Oggi sono la norma.

Dalla patologia come forma di comunicazione siamo approdati nel giro di qualche anno alla situazione contraria.

Negli ultimi anni i manuali di medicina si sono dovuti aggiornare  per includere le molte Laura e Carla in quelle che ora vengono definite le “nuove sindromi da addiction”, ossia la dipendenza senza sostanze, qualcosa che dovrebbe avere a che fare più con la psicologia che con la patologia, ma pare che l’approccio psicologico non dia i risultati sperati, perché tali comportamenti presentano le stesse caratteristiche della dipendenza fisiologica da sostanze: l’evoluzione ad escalation della cattiva abitudine, il malessere che subentra nell’interrompere il comportamento, l’incapacità di temperare tali impulsi… e pertanto l’unica opzione che resta è trattare questi comportamenti come malattie vere e proprie, con adeguate terapie farmacologiche.

Personalmente sono contro ogni forma di approccio chimico ai problemi dell’anima, quindi non suggerirei mai e poi mai alle mie amiche di cui sopra di farsi prescrivere qualche farmaco di nuova generazione dal loro medico per riuscire a comprendere quanto è insidioso il sentiero che stanno percorrendo… ciò non toglie che bisogna ammettere che nessun approccio di tipo umanistico è realmente in grado di frenare comportamenti sociali, neppure quando incredibilmente stupidi o alienanti o distruttivi, se questi affondano le radici nello spirito del tempo.

Ad esempio, a limitare l’uso dell’automobile non sono stati i dati allarmanti sull’inquinamento; la devastazione dei centri storici che è sotto gli occhi di tutti; l’aumento spropositato di strade, autostrade e parcheggi a discapito di aree verdi e ambienti naturali; il numeri di morti e feriti in incidenti pari a quello di una guerra mondiale; la consapevolezza che intorno al petrolio ruotano alcuni dei più efferati crimini contro l’umanità… a limitare l’uso dell’automobile è stato l’aumento del prezzo della benzina: è solo il fatto che un litro di benzina costi veramente tanto che ha scoraggiato gli individui dal ricorrere all’auto per ogni spostamento.

Gli imperativi rivolti all’etica, alla morale, alla solidarietà, all’ecologia, e a tante altre belle ideologie servono a poco o nulla ai fini del ridimensionamento degli aspetti insidiosi della modernità. Anche essere iperattivi nei social network, fintanto  che sarà coerente con il modello sociale in voga, pur essendo una grave forma di riduzione del Sé e una patologia socio-sintonica, impedirà alle persone di percepirsi come portatrici di un disturbo, di un problema, di un deficit affettivo… “Il vivere all’interno di una cornice culturale e di una pressione sociale dove governano l’immediatezza, l’apparenza, il “vincere facile”, il “qui e ora”, non può e non poteva che portare a forme di patologie coerenti e governate dalla incapacità/impossibilità di contenersi, dalla necessità di soddisfare ogni desiderio e piacere”, fa notare Mauro Croce (1).

Fra le nuove pulsioni create da questo modello sociale c’è l’ossessione per il riconoscimento sociale. Oggi molto più che in passato le persone vogliono essere notate, vogliono essere ammirate e desiderate, vogliono essere sempre al centro dell’attenzione. Perché? Perché sì. Perché questo è riconosciuto come il principale parametro sociale per misurare il proprio valore, e questa idea si è infiltrata talmente in profondità che persino l’autocoscienza e la percezione di sé si basa più sulla visibilità sociale che sulla propria vita reale.

Non è più una questione di narcisismo o di volontà di potere, siamo andati oltre, sta diventando una questione di valori esistenziali, la sorgente da cui scaturiscono le motivazioni per continuare a vivere; ovvero non è più solo una parte della popolazione ad agire (sgomitando, vendendosi, corrompendo…) per cercare di salire quanto più in alto possibile nella scala gerarchica basata su soldi, fama e potere, ma ora questa aspirazione si è diffusa anche fra le persone normali, nate senza una ipertrofia dell’ego.

La spettacolarizzazione del corpus sociale ha fatto credere che non esistono alternative, che non ci sono altre vie: visibilità e autostima coincidono; il successo legato alla visibilità attesta che la propria vita ha un senso, mentre senza visibilità vengono meno anche le motivazioni per agire e il motore che spinge il nostro essere rallenta, perde giri…

Chi potere e successo ce l’ha davvero lo lottizza e lo monopolizza; chi invece non ce l’ha lo simula, per esempio con l’attivismo compulsivo in rete; adottando qualsiasi prodotto o stile di vita che rappresenta la tendenza del momento; consumando la produzione (commerciale ma anche culturale) dei personaggi mediatici e delle star sulla cresta dell’onda… questi sono tutti tentativi di far credere a sé stessi e agli altri che non si è emarginati, che si ha uno spessore sociale rilevante e dunque un alto potenziale intellettuale, che si è proprio al centro del flusso degli eventi, che non si è insomma degli invisibili, degli sfigati.

Essere modaioli non è un complimento e a nessuno piace riconoscersi come tale, eppure allontanarsi dalle mode sociali dominanti risulta impossibile a molti, perché lo avvertono come una perdita di significato della propria vita, e perdendo questo perdono anche la voglia di viverla. Si arriva persino all’eccesso: se i media danno la notizia di un suicidio, ovvero lo spettacolarizzano, subito dopo c’è un picco degli emuli, soprattutto fra i giovani, che subiscono il fascino della glamourisation del gesto suicidale.

“Viviamo nella dimensione dell’anticipazione dei desideri. I desideri non nascono più da pulsioni interne, ma dalla scelta delle soluzioni fornite dall’esterno. Viviamo nell’eccesso: eccesso di mezzi, di strumenti, di ignoranza. Il risultato è incomprensione della realtà, incomprensione di noi stessi, incomprensione.” dice Claudio Misculin, artista che lavorando con i matti ha orizzonti mentali assai più aperti di chiunque altro (2).

Il grande inganno di quest’epoca è dunque proprio questo: quanto più si adottano gli stili di vita dominanti, tanto più si è in grado di dare un significato alla propria vita.

E se le tendenze sociali dicono che il modello vincente è uno e uno soltanto (per esempio: giovane, magro, bello, ricco, famoso…) non c’è scampo alla disillusione di sé e alla perdita di motivazione esistenziale quando da tale modello si è lontani (non meglio, non peggio: lontani), e questo accade nella stragrande maggioranza dei casi, perché la natura non è così stupida da farci tutti uguali.

È il principio di fondo della teoria ariana nazionalsocialista: gli ariani sono la razza vincente, tutte le altre sono perdenti e come tali inutili, da scartare, da eliminare, da incenerire…

In un mondo in cui solo una minima parte sono alti, biondi e con gli occhi azzurri bisognerebbe impedire che passi l’idea che le opportunità debbano essere date solo a quelli alti, biondi e con gli occhi azzurri. Invece è esattamente quello che è accaduto in quest’epoca. Gli “attributi ariani” oggi hanno a che fare più con il riconoscimento sociale che con il colore degli occhi, più con la visibilità mediatica che con la forma degli zigomi… ma la sostanza non cambia: i non-ariani sono isolati, allontanati dai salotti nobili della società, deprivati di qualsiasi opportunità a cui pure avrebbero diritto in virtù dei loro meriti effettivi per far spazio ai membri che appartengono alla giusta “razza”: i parenti di, gli iscritti a, gli amici di, gli appartenenti a, i confratelli con..

Per tutti gli altri, ossia per il 99% della popolazione, non c’è posto nella vita sociale e culturale del Paese, non importa quali meriti e talenti abbiano: si accomodino pure su Facebook per favore, e non rompano i coglioni.

Aver concesso a delle èlite di governare la società, significa aver lasciato che si formasse una società su base elitaria. Oggi questo boomerang sta tornando indietro e gli effetti sono che la solitudine e il tedium vitae stanno diffondendosi a macchia d’olio, e non perché sono le pulsioni più forti dell’animo umano, bensì perché sono stati annichiliti i loro naturali antidoti: la capacità di provare interesse per il mondo circostante, di coltivare una rete relazionale locale, di sopportare un po’ di fatica e sofferenza (inevitabili e congenite alla natura stessa della vita), di accettarsi per come si è, di trarre piacere da ciò di cui disponiamo realmente… insomma l’incapacità di vivere nella realtà.

E non a caso uno dei business più fiorenti in quest’epoca di smarrimento è qualcosa che vent’anni fa neppure il più cinico profeta del futuro avrebbe potuto immaginare: i social network, ossia un nuovo mercato che gestisce le relazioni sociali e amicali. Questo mostra chiaramente ciò che Jean Baudrillard ha indicato essere la conseguenza più grave della postmodernità: l’uccisione del reale.

Chi ha abbassato la guardia e si è lasciato sedurre dagli abili manipolatori sociali, ora si trova senza le naturali risorse di rigenerazione del Sé di cui l’anima – ogni anima – dispone, e compie il primo passo verso quelle che il filosofo canadese Ian Hacking ha definito “malattie mentali transitorie”, ossia comportamenti deviati non a causa di una effettiva patologia insita nell’individuo, ma della sua incapacità a sottrarsi a condizioni di vita contestuali e storiche che generano, appunto, stati mentali patologici. Ripristinando una condizione equilibrata di vita, si ripristina la salute mentale del soggetto.

Bene, ora la domandona finale: come fare a ripristinare condizioni di vita salutari e appaganti – almeno per sé se non per l’intera comunità – che inducano spontaneamente ad allontanarsi dalle patologie sociali e riappropriarsi della propria identità?

Note

1 – “Consuma senza limiti, ma con moderazione”, di Mauro Croce, pubblicato sul numero 255 agosto/settembre 2011 di “Animazione Sociale”.

2 – Tratto da “Noi, gli errori che permettono la vostra intelligenza” di Claudio Misculin, pubblicato su “Communitas” n. 12/2006.

Originalmente pubblicato su Ellin Selae n. 107